Ricordo che a sei anni, in prima elementare, ho imparato il concetto
basilare dell'algebra: ovvero che i numeri possono avere due polarità,
positivi (e quindi va il segno +), negativi (e quindi va il segno -).
Ricordo anche che a 19 anni, al primo anno di università, l'algebra mi è
stata davvero utile per imparare, mentre preparavo l'esame di economia
politica, i saldi settoriali di un Paese. Ho imparato quindi che un
sistema economico si poggia su saldo interno, saldo estero e saldo
pubblico.
1) Il saldo interno è dato dalla differenza tra investimenti delle
imprese (domanda di beni e servizi per accrescere la capacità
produttiva) è il risparmio privato delle famiglie al netto di consumi e
tasse (I-S).
2) Il saldo estero è dato dalla differenza tra esportazioni e
importazioni (X-M). Ma in questo saldo non vengono conteggiate solo le
merci (che bastano per ricavare la bilancia commerciale) ma anche i
fattori di produzione (lavoro e capitale). E già, perché anche il lavoro
e il capitale si possono esportare e importare. Ad esempio quando un
residente italiano percepisce uno stipendio per un lavoro all'estero o
quando, molto semplicemente, si acquistano titoli stranieri che danno un
rendimento (capitale) pagato da un altro Stato. Inserendo anche questi
due elementi si arriva al saldo delle partite correnti (CA), o saldo
estero.
3) E poi c'è il saldo pubblico, semplicissimo da capire. Dato dalla
differenza tra spesa pubblica (G) e tasse (T). Se è positivo vuol dire
che uno Stato immette valore a vantaggio della collettività. Se è
negativo vuol dire che lo Stato sottrae ricchezza alla collettività. Lo
Stato, in condizioni di pieno potere, è anche l'unico ente preposto alla
gestione monetaria.
La regola d'oro che ho imparato mentre preparavo questo esame è che
la somma dei tre saldi settoriali dell'economia di un Paese è
algebricamente uguale a 0.
In pratica: (I-S) + CA + (G-T) = 0.
Oppure: saldo interno + saldo estero + saldo pubblico =0.
Questa regola d'oro andrà mediata, a partire dal 2014, con un'altra
"regola d'oro", quella del pareggio di bilancio. Entrato a far parte
della Costituzione con il novellato articolo 81 dopo l'approvazione
nell'aprile del 2012 ad ampissima e traversale maggioranza di una
apposita legge costituzionale.
Ciò significa che uno dei tre saldi (quello pubblico) dovrà essere
necessariamente =0 perché lo Stato diventerà neutrale per definizione (e
Costituzione). A questo punto la partita si riduce tra saldo interno e
saldo estero. Dato che la somma tra questi due saldi dovrà essere
necessariamente nulla, non si scappa. Se il saldo con l'estero sarà
positivo (le esportazioni superano le importazioni) vuol dire che il
saldo privato dovrà essere negativo. E viceversa.
Questo significa che c'è una relazione inversa tra investimenti
delle imprese e saldo delle partite correnti e c'è una relazione diretta
tra risparmio privato e saldo delle partite correnti. Quindi se non
esportiamo di più di quanto importiamo il risparmio privato si riduce e
diventiamo algebricamente più poveri. Oppure siamo costretti a
indebitarci.
p.s. siamo sicuri che rendere uno Stato neutrale sia la cosa più
giusta? Soprattutto se si tiene conto che il debito tecnicamente non è
importante in quanto tale ma lo è come strumento per finanziare la
crescita. L'aspetto centrale è quindi che la crescita di un Paese sia
superiore ai tassi che esso paga per indebitarsi. Ma come è possibile
questo con uno Stato che diventa spettatore di se stesso?