Partiamo da una semplice definizione di che cos’è un saldo. Un saldo è  la differenza fra due voci di segno opposto. Solitamente i soldi che  entrano (reddito) hanno segno più, mentre i soldi che escono (spese)  hanno segno meno. Per esempio il risparmio (S da Savings) è un saldo:  entra un reddito (Y) ed escono delle spese per consumi (C): 
(1) S = Y – C
Ovviamente, oltre alla spesa per consumi da parte delle famiglie,  anche le aziende effettuano delle spese per acquistare beni che ne  producano altri in futuro, come stabilimenti, macchinari o attrezzature:  si tratta degli investimenti (I). Dunque:
(2) Y = C + I
Pertanto, il reddito coincide con la spesa effettuata per acquistare  beni di consumo e di investimento. La spesa di qualcuno è il reddito di  qualcun altro. Riepilogando, quello che le famiglie guadagnano (Y) viene  speso in beni di consumo (C) oppure viene risparmiato (S). Mentre nel  caso delle imprese, esse possono, tramite il sistema finanziario,  ottenere fondi in più rispetto al loro reddito (credito bancario) per  acquistare beni d’investimento (I) che generino profitti in futuro.
Nel mondo reale,  però, una nazione non è un sistema chiuso. Famiglie  e nazioni hanno scambi con l’esterno, con il resto del mondo (settore  estero). Se qualcosa viene venduto al resto del mondo abbiamo  un’esportazione (X), soldi che entrano; se si compra qualcosa dal resto  del mondo avremo un’importazione (M), soldi che escono. Quindi  aggiungiamo un ulteriore pezzo alla nostra formula:
(3) Y = C + I + X – M
Le nazioni, però, non si scambiano solo merci (X e M) ma anche  fattori di produzione (lavoratori) e capitali. Questi scambi producono a  loro volta dei redditi, che quindi devono essere in qualche modo  conteggiati. Per esempio, un lavoratore italiano può vivere in Italia ma  lavorare all’estero ed essere pagato all’estero. Faccio una consulenza  per un’azienda o un governo straniero e vengo pagato da loro, mantenendo  la residenza in Italia. Questo è un reddito estero da lavoro attivo per  l’Italia; viceversa, se l’Italia paga un reddito a un lavoratore non  residente si parlerà di reddito estero da lavoro passivo per l’Italia.  La differenza fra attivi e passivi ci dà il saldo netto dei redditi  esteri da lavoro. Oltre a merci, servizi e lavoratori le nazioni si  scambiano anche capitali. Per esempio, un risparmiatore italiano  acquista un’obbligazione di un’azienda estera oppure un titolo di Stato  estero: inizialmente quelli sono soldi che escono ma che rientreranno in  seguito con l’aggiunta di una certa quota di interesse. Si tratta di  quelli che vengono definiti redditi esteri da capitale. Anche qui vale  il discorso precedente: quello che conta è il saldo netto (differenza  fra redditi esteri da capitale attivi e passivi). Chiamiamo NFI (Net  Foreign Incomes – Redditi Esteri Netti) il saldo netto dei redditi netti  esteri derivanti sia da fattori di produzione che da capitali. Prima di  aggiornare la nostra formula è opportuno, a questo punto, fare un  ulteriore piccolo distinguo fra il concetto di PIL (Prodotto Interno  Lordo) e quello di PNL (Prodotto Nazionale Lordo). Il primo è relativo  ai redditi prodotti all’interno di un determinato territorio geografico  (ad esempio il suolo nazionale); il secondo è relativo ai redditi  prodotti da tutti i residenti di un determinato territorio, sia che  questi siano prodotti e percepiti sul suolo geografico nazionale che  all’estero. In sostanza il saldo dei NFI permette di distinguere il PIL  da PNL. Infatti il PNL è dato dalla somma fra PIL e NFI:
(4) Y + NFI =  YN
Quindi, d’ora in poi faremo riferimento al Prodotto Nazionale Lordo  (YN). Riprendiamo la nostra formula e aggiungiamo i redditi esteri  netti:
(5) YN = C + I + X – M + NFI
Solitamente quando ci si riferisce al saldo estero, si utilizza il  dato aggregato del reddito proveniente dal settore estero. Si tratta del  saldo delle partite correnti, che scriveremo come CA (Current Account).  Esso rappresenta la somma del saldo fra esportazioni e importazioni (X –  M), ossia  del saldo della bilancia commerciale (trade balance), e del  saldo dei redditi esteri netti (NFI). Dunque:
(6) CA = X – M + NFI
Sostituendo la formula (6) nell’equazione (5) otteniamo quindi:
(7) YN = C + I + CA
Ho messo sotto un’unica voce il saldo del settore estero e i redditi  prodotto e percepiti in relazione al resto del mondo. A questo punto  spostiamo alcuni fattori nell’equazione (7), ricordando che quando  un’incognita passa da una parte all’altra dell’uguale cambia di segno,  ottenendo:
(8)  YN – C – I = CA
Ritorniamo alla formula (1): vi ricordate, il risparmio (S) è dato  dalla differenza fra il reddito (Y) e i consumi (C). Si tratta della  stessa cosa che troviamo scritta nella parte iniziale dell’equazione  (8). Dunque sostituiamo la formula (1) nell’equazione (8):
(9)  SN – I = CA
Dove SN rappresenta il risparmio nazionale, che è uguale al reddito  nazionale meno la spesa per consumi da parte delle famiglie. Facciamo  adesso un ulteriore passo avanti. La contabilità nazionale non considera  solo i consumi privati ma distingue fra i consumi da parte delle  famiglie (C) e quelli del settore pubblico, sostenuti dal governo,  parliamo di quella che viene definita spesa pubblica (G). Si tratta in  gran parte di consumi di servizi offerti dallo Stato (istruzione,  sanità, sicurezza) da parte dei cittadini. Questi consumi vengono  contabilizzati in base alla remunerazione percepita da chi li eroga,  quindi coincidono in gran parte con le retribuzioni (i redditi) dei  dipendenti pubblici, ai quali vanno poi aggiunti i consumi veri e propri  da parte dello Stato (carta per fotocopiatrici, lavagne scolastiche,  carta igienica, gesso per le lavagne): i cosiddetti consumi intermedi. A  questo punto possiamo riscrivere la formula del risparmio nazionale  come:
(10) SN = YN – C – G
Il risparmio nazionale è dato dal reddito nazionale (YN) meno i  consumi privati (C) e quelli pubblici (G). Aggiungiamo adesso un  ulteriore pezzo. Il risparmio delle famiglie, come abbiamo visto,  è  rappresentato dalla quota di reddito rimanente una volta effettuata la  spesa per i consumi, ma c’è di più. Oltre alla spesa per consumi,  infatti, le famiglie devono anche far fronte al pagamento delle imposte.  Al risparmio delle famiglie, dunque, va sottratta sia la spesa per  consumi (C) che l’ammontare delle imposte (T). Le imposte, però, se da  una parte sono denaro che esce dalle tasche delle famiglie (segno meno),  dall’altra, sono anche denaro che “entra nelle tasche” del settore  pubblico (segno più). Nulla di sconvolgente: l’ammontare di quello che  le famiglie pagano in imposte diventa al contempo gettito fiscale  (sempre T). Perciò aggiorniamo la formula (10):
(11) SN = YN – C – T – G + T
Questa operazione consente di mettere in evidenzia una cosa  fondamentale. Quello che fin qui abbiamo chiamato risparmio nazionale,  in realtà, è costituito dal saldo di due entità diverse: da una parte,  il settore privato (famiglie); dall’altra, quello pubblico (Stato,  settore governativo). Dunque, il risparmio nazionale (SN) può essere  riscritto come la somma del risparmio privato (SP) e di quello  pubblico  (SG):
(12) SN = SP + SG
SP  è il saldo del risparmio privato mentre SG  è il saldo del risparmio pubblico. Scritto in formule:
(12.1) SP = YN  –  C – T                      (12.2) SG = T – G
La quota di reddito che rimane alle famiglie dopo la spesa per  consumi e il pagamento delle imposte rappresenta la quota del risparmio  privato (SP). La differenza fra G e T rappresenta il saldo del settore  pubblico. Se G è maggiore di T lo stato è in una situazione di deficit,  se T è maggiore di G lo Stato è in una situazione di surplus (lo Stato  “risparmia”). Adesso che abbiamo distinto fra settore privato e pubblico  riprendiamo la formula (9) e utilizzando la formula (12) riscriviamo:
(13)  SP  + SG – I = CA
Aggiustiamo raggruppando i termini per settore:
(14) SP  – I =  – SG  + CA
A questo punto definiamo G – T come il fabbisogno pubblico (F). Possiamo così vedere che – SG è uguale a F, dal momento che
SG  = T – G (12.2). Perciò ecco la formula finale dei saldi settoriali:
(15) – SP  + I + F + CA = 0
Non spaventatevi, SP  ha cambiato di lato e dunque ha cambiato segno e  lo stesso vale per I. Mentre F e CA sono rimasti al loro posto. Lo so,  avrei dovuto scrivere 0 =  – SP  + I + F + CA  ma capite che non è molto  convenzionale. La sostanza è sempre quella comunque.
Pertanto, possiamo vedere che il saldo del settore privato è dato  dalla differenza fra il risparmio privato (SP) e gli investimenti (I).  Si parla quindi di risparmio al netto degli investimenti quando il  risparmio privato eccede gli investimenti (SP > I). In tale  situazione il settore privato in aggregato finanzia interamente la  propria spesa per investimenti (abitazioni, macchinari, attrezzature) e  avanza una certa di quota di risparmio. Il saldo del settore pubblico è  costituito dalla differenza fra spesa pubblica (G) e gettito fiscale  (T), ossia da quello che abbiamo definito fabbisogno pubblico (F). Da  notare che se il fabbisogno è positivo significa che la spesa pubblica  eccede le entrate fiscali (G > T) per cui il settore pubblico è in  deficit; al contrario, se il fabbisogno è negativo significa che le  entrate sono superiori alla spesa pubblica (T > G): il settore  pubblico è in una situazione di surplus. Il saldo estero è espresso dal  saldo delle partite correnti (CA = X – M + NFI). Se il saldo è positivo  significa che il paese in questione è creditore netto nei confronti del  resto del mondo: i soldi che arrivano dal resto del mondo sono superiori  a quelli che escono e vanno al resto del mondo. Viceversa, se il saldo è  negativo significa che il paese si sta indebitando con il resto del  mondo. Dal momento che la somma dei saldi dei tre settori (privato,  pubblico ed estero) è nulla, significa che non tutti i settori possono  essere contemporaneamente in surplus o contemporaneamente in deficit.  Ciò risulterà evidente da un semplice fatto logico: ogni saldo è dato  dalla differenza fra entrate e spese. Perciò, se un settore spende più  soldi rispetto alle sue entrate si troverà in una situazione di deficit,  ma quei soldi che può spendere in più rispetto alle sue entrate devono  per forza arrivare da qualche altra parte. Deve cioè esserci per forza  di cose almeno un settore che spende meno rispetto alle sue entrate e  che finanzia il suo eccesso di spesa. Come scrive Wynne Godley «ogni  flusso proviene da qualche parte e va da qualche parte».
Dunque, alla luce di questo semplice fatto contabile, possiamo  evidenziare alcune relazioni fra i tre  settori. Se isoliamo sul lato  sinistro dell’equazione il saldo del settore privato, notiamo che la  somma del saldo del settore pubblico e di quello estero eguaglia quello  del settore privato.
(16) SP  – I =  F + CA
Dunque, se per esempio il saldo del settore estero è nullo (CA = 0) e  il saldo del settore pubblico  è negativo (G > T), il saldo del  settore privato è necessariamente positivo (SP  – I > 0) dal momento  che, ricordiamo, F = G – T. In una situazione di questo tipo un  eventuale saldo positivo delle partite correnti (CA > 0) farà  aumentare ulteriormente il surplus del settore privato (il settore  privato riesce a risparmiare al netto dei suoi investimenti). Al  contrario, un saldo negativo delle partite correnti (CA <  0)  farà  diminuire il saldo complessivo del settore privato. Perciò, il deficit del settore pubblico non distrugge il risparmio del settore privato (come raccontano gli economisti neoclassici), bensì lo fa incrementare. Nella situazione opposta, se il settore pubblico decide di avere un saldo nullo (il “pareggio di bilancio” che continuamente ci chiedono dall’Europa) o addirittura un surplus (T > G), nel caso in cui il saldo estero sia nullo o negativo, questo non farà altro distruggere risparmio privato (o costringere il settore a indebitarsi): il saldo del settore privato infatti sarà necessariamente negativo.